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3. Prima giornata

La Prima giornata è dedicata alla discussione critica di alcuni capisaldi della concezione del mondo aristotelica, in particolare della distinzione di natura e sostanza tra la regione celeste (ingenerabile ed incorruttibile) e quella terrestre (alterabile e mutevole). Mentre i cieli si muovevano per Aristotele secondo un moto circolare privo di contrari e quindi non soggetto a modificazioni, nella materia elementare terrestre si davano solo moti rettilinei, perennemente alterati dal loro contrario.

Contro questa teoria peripatetica Salviati sostiene l'impossibilità di un moto diverso dal circolare per i «corpi integrali del mondo», perché un moto rettilineo li porterebbe gioco forza ad abbandonare il loro luogo naturale (la sfera terrestre), ed essendo infinito per natura (perché infinita è la linea retta) li condurrebbe «dove è impossibile arrivare», non essendoci termine finito. E a differenza del movimento circolare, per sua natura uniforme, il moto rettilineo è caratterizzato dall'accelerazione [VII, 43].

Perciò se anche rettilinea è la fase iniziale del moto, la sua prosecuzione non può essere che circolare. Un corpo posto su un piano orizzontale continuerà infatti a muoversi perennemente in modo uniforme (non acquistando, né perdendo «naturalmente» velocità) e, quando fosse in quiete, «già mai non vi si muoverà», comportamento inerziale proprio dei moti attorno ad un centro. Il moto circolare si svolge dunque «perpetuamente con velocità uniforme», ma esso «non s'acquisterà mai naturalmente senza il moto retto precedente» [VII, 44-53].

Salviati può ora esporre più chiaramente un «concetto Platonico», illustrato da un amico «Accademico Linceo», cioè da Galileo stesso. Si immagina che Dio, dopo aver «fabbricati» tutti i pianeti nel medesimo luogo, abbia loro dato «l'inclinazione di muoversi, discendendo verso il centro», per trasformare successivamente il moto retto e accelerato in un movimento circolare uniforme attorno al Sole. Secondo Galileo (ma i calcoli saranno poi dimostrati da Isaac Newton incongruenti) conoscendo la distanza che separa le orbite dei vari pianeti, la loro velocità di rotazione e la «proporzione dell'accelerazione del moto naturale», si può determinare la distanza dal centro del punto di partenza [VII, 53-54].

Nella cosmogonia descritta da Salviati la Terra condivide con tutti gli altri «globi» del sistema solare il moto circolare che preserva l'ordine del cosmo. Alla mobilità terrestre il peripatetico Simplicio contrappone le tesi aristoteliche sul moto naturale rettilineo degli elementi (terra e acqua verso il basso, fuoco e aria verso l'alto) e l'immobilità della Terra al centro dell'universo inevitabilmente deducibile da quelle premesse. Ma Salviati spiega quegli stessi fenomeni con la teoria copernicana della gravità, secondo cui le parti di tutti i pianeti tendono a dirigersi verso il proprio centro. In tal senso, anche «le parti della Terra si muovono non per andar al centro del mondo, ma per andare a riunirsi col suo tutto, e… per ciò hanno naturale inclinazione verso il centro del globo terrestre» [VII, 57-58].

La distinzione aristotelica tra la materia celeste, perfetta ed incorruttibile, e quella terrestre, esposta a degenerazioni e a mutamenti, è l'argomento principale opposto da Simplicio alla mobilità della Terra: la separazione netta tra mondo sublunare e sfere celesti non consente di considerarla un pianeta e di attribuirle quindi un moto circolare [VII, 59]. La discussione sulla inalterabilità dei cieli occupa gran parte della Prima giornata e Galileo non manca di inserirvi un duro attacco ai pregiudizi che alimentano una credenza simile, nati dall'estensione all'indagine naturalistica dell'umano timore della morte [VII, 84].

Al di là delle incursioni nel campo della psicologia collettiva, Salviati e Sagredo contestano l'incorruttibilità dei cieli, invocando tutti i riscontri empirici che la smentiscono: la comparsa di novae e comete [VII, 76-77], la fioritura di macchie sul Sole (evidenti mutamenti della sfera celeste) [VII, 78-80], e soprattutto la similitudine fra Terra e Luna, inequivocabilmente osservata al telescopio, a negazione della presunta differenza radicale tra il nostro pianeta e gli altri astri. L'affinità tra Luna e Terra è confermata dall'identico modo in cui entrambe le loro superfici riflettono la luce del Sole [VII, 87-124]. E Salviati si sofferma a spiegare il fenomeno della luce cinerea della Luna quando ne appare illuminata solo una «sottil falce» [VII, 88-92], continuando a mostrare, col contraltare di Sagredo e con l'aiuto di uno specchio appeso al muro, come le caratteristiche della riflessione della luce del Sole provino la scabrosità, opacità e irregolarità del suolo lunare [VII, 93-124].

La successiva discussione sull'eventuale presenza di esseri animati sulla Luna è pretesto per evocare la sterminata varietà e ricchezza del mondo naturale. I limiti quantitativi delle sue capacità non consentono all'uomo di conoscere la natura extensive, di scoprirne cioè tutti gli infiniti aspetti, che sono solo nella mente del creatore. Ma quanto ad intenderne intensive alcuni (cioè le proposizioni matematiche), ovverosia a conoscerli approfonditamente fino a raggiungere conclusioni certe, l'intelletto umano eguaglia il divino [VII, 128-129]. La Prima giornata si chiude dunque con un'apoteosi dell'ingegno umano, la cui «acutezza» è alla radice delle «tante e tanto maravigliose invenzioni trovate dagli uomini, sì nelle arti come nelle lettere» [VII, 130].