Museo Galileo
Portale Galileo
italiano

3. The first letter (in Italian only)

Nella prima delle lette­re al Welser [V, 94-113], Galileo non si sbilancia riguardo alla natura specifica del fenomeno delle macchie solari [V, 95]. Secondo lo Scheiner, visto che la loro posizione non si riproponeva ciclicamente identica per la rotazione del Sole su se stesso, era da escludersi in assoluto una loro contiguità rispetto alla superficie solare. Ma per Galileo la falsa premessa che le macchie fossero permanenti e non mutassero mai la propria figura inficiava tutte le conclusioni dell’avversario, smentendone tra l’altro l’ipotesi che fossero stelle o astri, visto che le macchie cambiano continuamente le proprie figure e dimensioni, arrivando addirittura a formarsi e a svanire durante il percorso lungo la circonferenza del Sole.

La perplessità sulla vera natura delle macchie costringeva comunque Galileo a un’estrema cautela: «non però affermo o nego che le siano nel Sole, ma solamente dico non esser a sufficienza stato dimostrato che le non vi siino». Cautela che però evaporava quando si trattava di esaminare il comportamento dei pianeti del sistema solare: Venere manifestamente ruota intorno al Sole «conforme alle posizioni de i Pitagorici e del Copernico», e intorno al Sole, «come centro delle lor revoluzioni, si raggirano tutti gli altri pianeti». E perché allora bisogna produrre «ragioni soggette a qualche risposta, ben che debole, per guadagnarsi l’assenso di quelli la cui filosofia viene stranamente perturbata da questa nuova costituzion dell’universo»? Da una questione tecnica e osservativa a conclusioni di carattere cosmologico il passo era breve [V, 99-101].

Riconoscendo ad Apelle una consapevolezza maggiore rispetto alla media nel trattare una materia messa sotto sopra dalla valanga di scoperte telescopiche che ne avevano mutato radicalmente i contenuti, Galileo ostentava una certa indulgenza verso il suo interlocutore, incapace ancora di «staccarsi totalmente dalle già impresse fantasie, alle quali torna pur talora l’intelletto abituato dal lungo uso a prestar l’assenso» [V, 102]. Dopo aver passato in rassegna le conclusioni che lo Scheiner aveva tratto dalle proprie osservazioni sulla posizione delle macchie, sul loro moto, sulle loro continue trasformazioni, sulla loro sostanza, rilevandone contraddizioni, inesattezze e la sostanziale indimostrabilità della loro natura di pianeti, Galileo si scusa con Welser, destinatario della lettera, per esser stato troppo lungo e, soprattutto, irrisoluto. Ma la «novità e difficoltà della materia» e le innumerevoli implicazioni della ingovernabile messe di osservazioni lo avevano reso «in guisa timido e perplesso» da non ardire «quasi d’aprir bocca» [V, 103-112].

Eppure apriva bocca eccome poche righe sotto sulle conseguenze metodologiche e filosofiche di questa svolta radicale nell’indagine astronomica. Sicuro di non voler disperare abbandonando un’impresa troppo difficoltosa, confidava che l’inquadramento dei fenomeni osservati potesse aggiungere un tassello al disegno più ampio di conoscenza della realtà naturale, ancora incompresa per carenze metodologiche di fondo:

voglio sperar che queste novità mi abbino mirabilmente a servire per accordar qualche canna di questo grand’organo discordato della nostra filosofia; nel qual mi par vedere molti organisti affaticarsi in vano per ridurlo al perfetto temperamento, e questo perché vanno lasciando e mantenendo discordate tre o quattro delle canne principali, alle quali è impossibile cosa che l’altre rispondino con perfetta armonia [V, 113].