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Virginia Galilei (suor Maria Celeste)

1600-1634

Virginia Galilei, primogenita di Galileo, nacque il 12 agosto del 1600. Quello stesso giorno il padre stese di suo pugno un oroscopo, nel quale delineò i tratti principali del carattere della figlia e gli influssi dei pianeti che ne avrebbero segnato lo sviluppo. Lo zelo, la sensibilità e la devozione a Dio, predetti da Galileo, si manifestarono davvero nella personalità di Virginia, così come emerge dalle 124 lettere al padre pervenute fino a noi.

Entrata in convento giovanissima, prese il nome di Suor Maria Celeste. La condizione della donna nel Seicento offriva poche alternative alle ragazze di buona famiglia: il matrimonio o il velo. Per Galileo, oberato dai debiti, la scelta che non gli avrebbe imposto il pagamento dell'ennesima dote matrimoniale fu obbligata. Grazie a conoscenze altolocate lo scienziato riuscì a far accettare entrambe le figlie prima del tempo, a soli 13 anni contro i 16 previsti, nel convento di San Matteo in Arcetri, dove Virginia prese i voti nel 1616 e Livia (1601-1659) l'anno successivo. Le suore di San Matteo in Arcetri appartenevano all'ordine delle Clarisse, fondato da Chiara d'Assisi nel 1212, la cui regola approvata nel 1253 si basava essenzialmente sulla scelta di povertà. La spiritualità francescana e la collocazione fuori le mura della città resero il convento di San Matteo particolarmente indicato per le esigenze di Galileo. Le nuove monache, infatti, erano accolte con una dote piuttosto bassa, rispetto ai più ricchi conventi cittadini.

Virginia col tempo, a differenza della sorella minore, si rivelò adatta alla vita che le era stata imposta; dalle lettere, infatti, non trasparì mai un rimpianto o una rivendicazione: al contrario si rivolse sempre al padre con espressioni di grandissimo affetto. La prima lettera a Galileo, di cui è rimasta traccia, è datata 10 maggio 1623 e fu scritta in occasione della morte dell'amatissima zia Virginia, sorella di Galileo, dalla quale la figlia dello scienziato aveva preso il nome. Dal 1623 al 1634, anno della sua morte, Virginia ebbe con il padre una fitta corrispondenza, che fu di conforto per l'una e per l'altro.

Galileo fu profondamente legato a entrambe le figlie, ma in Virginia trovò un riflesso del proprio carattere e non di rado le aprì il cuore, come quando nel 1623 le manifestò tutto il suo entusiasmo per l'elezione di Maffeo Barberini (1568-1644) al soglio pontificio, inviandole le lettere che il nuovo papa gli aveva scritto quando era ancora cardinale.

Virginia era una donna intelligente e in convento divenne presto un punto di riferimento per le consorelle. Le frequenti richieste al padre di sostegno economico miravano quasi sempre a stemperare le misere condizioni di vita di tutte. La serenità del convento era talmente prioritaria per suor Maria Celeste che potendo chiedere al padre di domandare un qualsiasi beneficio a papa Urbano VIII, dal quale Galileo si sarebbe recato in visita nel 1624, scelse di pregarlo perché a prendersi cura delle monache fossero mandati frati degni, e non, come spesso accadeva, chierici dalla dubbia moralità.

Virginia, anche se da lontano, si prendeva cura di Galileo in molti modi: con preparazioni speziali in cui era esperta, con dolci o frutti, cucendo per lui i colletti o rammendando gli abiti e anche facendosi copista delle sue lettere a terzi o dei suoi manoscritti, di cui era curiosa lettrice. Infine fu lei che, spinta dall'idea di avere il padre più vicino, riuscì a trovare quella Villa 'Il gioiello' dove Galileo spese gli ultimi anni di vita. Galileo, da parte sua, non rispose mai negativamente a nessuna delle richieste della figlia, fosse denaro, fosse inviare del buon vino, o fosse fare l'orologiaio e riuscire laddove il figlio Vincenzo (1606-1649) falliva: "Vincentio tenne parecchi giorni l'orivolo, ma da poi in qua suona manco che mai. Quanto a me, giudicherei che il difetto venissi dalla corda, che, per esser cattiva, non scorra; pure, perché non me ne risolvo, glielo mando, acciò veda qual sia il suo mancamento e lo raccomodi. Potrebbe anco esser che il difetto fossi mio per non saperlo guidare, che perciò ho lasciato i contrappesi attaccati, dubitando che forse non siano al luogo loro. Ma ben la prego a rimandarlo più presto che potrà, perché queste monache non mi lascerebbon vivere" (Ed. Naz. vol. XIV, p. 68).

L'affetto e la stima di Galileo per la figlia trova eco nella descrizione che lo scienziato fece all'amico Diodati (1576-1661) dopo la morte di lei nel 1634: "donna di esquisito ingegno, singolar bontà et a me affezzionatissima" (Ed. Naz. vol. XVI, p. 115). Il dolore per la sua morte improvvisa e prematura fu immenso e gli provocò dissesti fisici, dai quali non si sarebbe più ripreso.

Le lettere di Galileo alla figlia sono andate perdute, forse distrutte dalla madre superiora nel timore di una compromissione del convento di San Matteo, a causa della condanna di Galileo da parte del Santo Uffizio.