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Lettere copernicane (1612-1615)

L'esplicita adesione di Galileo ad una cosmologia copernicana suscitò all'interno degli ambienti ecclesiastici il timore di veder dimostrato l'errore dei testi sacri, che parlavano chiaramente di moto del Sole. In particolare fra i domenicani di Firenze si levarono voci talmente allarmate da sfociare in una denuncia al Sant'Uffizio. Sollecitato, Galileo affidò ad alcune scritture private, che mai pubblicò, la propria idea del rapporto di non ingerenza reciproca fra teologia e filosofia naturale. Nelle tre lettere indirizzate a Benedetto Castelli, a Piero Dini e a Cristina di Lorena non solo tentava di dimostrare la possibilità di conciliare il copernicanesimo con la Sacra Scrittura (che non può esser soggetta ad errore, al contrario però dei suoi interpreti), ma auspicava anche la separazione del campo d'influenza del teologo, tutto spirituale e morale, da quello del filosofo, incentrato sulla ricerca delle verità naturali. Gli sforzi di Galileo risultarono però vani e il moto della Terra fu comunque vietato dal Sant'Uffizio come falsa dottrina.