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Galilée - Pierre-Joseph Proudhon

Pierre-Joseph Proudhon, nel 1843, scrive un canovaccio per uno spettacolo teatrale in quattro atti dal titolo Galilée. La bozza ha un taglio spiccatamente filosofico e il suo nucleo drammatico è costituito dalla sofferenza spirituale di Galileo costretto all'abiura, alla rinuncia alle sue idee. E' quindi uno scontro tra il "Dogma" e il "Dubbio", la "Fede" e la "Verifica sperimentale". Galileo non è perseguito perché coltiva la filosofia e la scienza ma perché, secondo ciò che vuole far emergere Proudhon, introduce nella Chiesa un'autorità estranea e nella fede un elemento nuovo e sovversivo: la filosofia. Galileo viene visto dall'Inquisizione come un nuovo Lutero. Di fronte alle accuse che gli sono mosse, per coerenza con le proprie idee, dovrebbe arrivare a sostenere la supremazia della filosofia sulla religione, ma come dice Proudhon: "Galileo non può essere logico, non è un miscredente, il suo misticismo lo trattiene e resta religioso. Egli non pensa proprio di negare l'autorità della Chiesa, di conseguenza cade nell'incoerenza". Un'aggravante per Galileo è di "non sapere niente delle cose della società" e la sua abiura è quindi un'esplicitazione del non essere "cittadino della scienza". Più che Galileo dunque, è la figlia a emergere come eroina del dramma in quanto è disposta a sacrificare anche l'amore per la scienza. Proudhon pone il "dovere" verso il padre e, attraverso quest'ultimo, verso la scienza, al di sopra dell'amore, sottolineando così la "supremazia" della ragione. E sempre riguardo alla figlia, non è certo lei, con la sua vicenda amorosa, motore del dramma. In questo senso la struttura impostata da Proudhon si distacca molto dai luoghi comuni delle opere teatrali in voga in quel periodo, così spesso incentrate su storie romantiche. Quanto alla possibilità di mettere effettivamente in scena un dramma sulla base del canovaccio steso, lo stesso Proudhon afferma che la cosa è possibile, che il dramma può avere abbastanza azione, che Galileo, Torricelli, il grande inquisitore, la figlia di Galileo e il suo pretendente sarebbero personaggi "nuovi "sulla scena. Piuttosto, scrive Proudhon a chiusura della sua bozza: "il pericolo è nelle dissertazioni filosofico-teologiche a cui invita il soggetto. Per sfuggirvi, bisogna studiare il dramma a fondo, cogliere con forza il carattere e la tesi di ciascun personaggio e procedere per grandi tratti, per espressioni profonde, che mettono l'idea in rilievo".